PRIMATO PAPAL Y COLEGIALIDAD DE LOS OBISPOS, 
GRANDES AUSENTES AL PROXIMO SINODO
de mons. John Quinn

 Obispo Emérito de San Francisco

L'Instrumentum laboris per il prossimo sinodo internazionale dei vescovi è ora in circolazione. Il testo, che si intitola "Il vescovo: servo del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo", è di 120 pagine e ha 229 note. È significativo che la dirompente enciclica del papa sull'unità dei cristiani, Ut unum sint (1995), vi sia citata solo una volta. La lettera papale che apre le celebrazioni per il terzo millennio è citata una volta. La lettera che chiude l'anno giubilare e apre il terzo millennio, Novo millennio ineunte, non è mai citata. Ciò è degno di nota perché il recente concistoro dei cardinali di tutto il mondo era centrato su questo ultimo documento, che al tempo stesso è lungimirante e costituisce una sfida.
L'Instrumentum laboris non è un'agenda. Non stabilisce i parametri della discussione sinodale. Il suo scopo è dare alcune indicazioni sui temi che i vescovi di tutto il mondo vorrebbero vedere affrontati.
Nel 1974 sono stato inviato da papa Paolo VI al sinodo sull'evangelizzazione. La nomina ufficiale arrivò solo a metà luglio, quando tutti gli incontri dei rappresentanti degli Stati Uniti avevano già avuto luogo. Chiesi al cardinal John Dearden che cosa io potessi preparare per il sinodo. Rispose che potevo leggere alcuni articoli, ma che in realtà non c'era nulla da preparare, dal momento che quando i vescovi di tutto il mondo si riuniscono a Roma entra in gioco una nuova alchimia e la direzione delle cose potrebbe essere molto diversa. In ogni caso, un instrumentum laboris non dovrebbe essere preso come un segno certo della direzione che un sinodo è destinato a prendere.
Le mie osservazioni sul documento sono sia positive sia negative. Per quanto riguarda quelle positive, il documento, dall'inizio alla fine, pone enfaticamente l'accento sulla speranza. La speranza è menzionata 27 volte solo nelle prime nove pagine. I documenti del Concilio Vaticano II sono citati nella misura in cui affermano il principio capitale secondo il quale i vescovi "oltre tutte le preoccupazioni e le difficoltà' devono avere speranza, prima di qualsiasi altra cosa". Viene sottolineata la centralità della Bibbia per la vita ecclesiale e per la crescita e la statura spirituale personale di un vescovo. Questo insegnamento del Concilio deve essere continuamente e costantemente sottolineato in tutta la Chiesa. C'è anche una chiamata all'apertura al mondo, al coinvolgimento attivo nell'affrontare i suoi complessi problemi, e una consapevolezza dell'emergere di problemi del tutto nuovi che sollecitano la Chiesa ad una riflessione più profonda. Il documento ammette il diffuso "silenzioso, facile abbandono dell'osservanza religiosa da parte di molte persone", e il declino delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. In questo articolo non posso citare tutti i fattori positivi e rassicuranti che il documento contiene, ma questi possono servire per dimostrare che il documento possiede anche elementi realistici e positivi.
Un tema di questo documento che potrebbe destare qualche sorpresa è il provvedimento per cui i vescovi in pensione possono essere eletti ai sinodi. Questo è sorprendente, perché quando la conferenza episcopale degli Stati Uniti mi ha scelto alcuni anni fa per partecipare all'Assemblea speciale dei vescovi per l'America, il giorno dopo è arrivato un fax da Roma che affermava che le regole per il sinodo erano cambiate e che i vescovi in pensione non potevano essere delegati. Allo stesso tempo, era noto che un vescovo di Panama in pensione era stato ugualmente invitato al sinodo.
C'è una sorprendente omissione nella sezione del documento che tratta delle Conferenze episcopali. In questa sezione, sono citati 11 documenti del papa o di congregazioni romane. Ma non viene mai citata una parte importante della Lumen gentium, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano II (1964). In quel documento leggiamo (n. 23) che i patriarcati sono venuti in essere per divina provvidenza e che questa varietà dimostra con grande chiarezza la cattolicità della Chiesa indivisa. Poi dice che "in modo simile le Conferenze episcopali possono oggi dare un variegato e fecondo contributo alla concreta applicazione dello spirito di collegialità". Gli esperti osservano che il Concilio utilizza qui un'analogia di proporzionalità tra Conferenze e patriarcati. Le Conferenze non si identificano in ogni aspetto con i patriarcati, ma hanno alcuni elementi di collegialità in comune. Questa è un'affermazione importante in un Concilio generale della Chiesa, e la sua omissione nell'Instrumentum laboris sembrerebbe deliberata.
I vescovi di tutto il mondo sono scontenti del modo in cui le congregazioni romane trattano le Conferenze episcopali. Quest'affermazione non si basa solo sul sentito dire. I vescovi stessi nei sinodi continentali (per l'Africa, l'Asia e altri) hanno esplicitamente sollevato la questione. Più recentemente, al concistoro dei cardinali di maggio, il cardinal Aloisio Lorscheider del Brasile ha detto, secondo quanto ha riportato il "New 'ork Times": "Le decisioni del Concilio Vaticano II non vengono applicate, e tutti noi soffriamo' per una burocrazia distante che è sempre più sorda". E il cardinal Walter Kasper, grande teologo e ora membro della Curia romana (presidente del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani, ndr), ha detto, quando ancora era vescovo diocesano, che il giusto equilibrio tra la Curia e le Chiese locali "è stato distrutto". E, ha aggiunto, "questa non è solo una mia percezione: è l'esperienza e la lamentela di molti vescovi di tutto il mondo".
Come l'aver omesso la parte della Lumen gentium relativa alle Conferenze, anche il fatto che Ut unum sint sia citata solo una volta a proposito dell'ecumenismo è una omissione degna di nota. Non c'è nulla che riguardi più direttamente il progresso ecumenico e il ministero dei vescovi, che è il modo in cui il primato papale viene esercitato. Il papa stesso in quell'enciclica invitava i vescovi di tutto il mondo a dialogare con lui sull'esercizio del primato. Ma non c'è una parola di tutto ciò nell'Instrumentum laboris. L'enciclica afferma che "è assolutamente chiaro che l'ecumenismo' non è solo una sorta di 'appendic' che viene aggiunta all'attività tradizionale della Chiesa. L'ecumenismo è piuttosto una parte organica della vita della Chiesa e di conseguenza deve diffondersi in tutto ciò che essa è e compie". Questo significa che, tra tante altre cose che devono essere considerate, certamente il contesto più ampio del ministero episcopale nel suo rapporto col papa e con la curia romana è un tema quanto mai rilevante per l'ecumenismo. È risultato più volte evidente in modo chiaro che si tratta di un punto nevralgico per gli ortodossi. È possibile immaginare un sinodo sul ministero dei vescovi che ometta questi temi?
Dall'inizio alla fine, il documento indica i molteplici doveri e responsabilità del vescovo. Ma non sottolinea a sufficienza il fatto che nessun singolo essere umano potrebbe affrontare da solo tutte queste cose. Parla dell'esigenza di comunione con i preti, i religiosi e i laici e di strutture come consigli pastorali e consigli presbiterali. Ma sarebbe importante rendere più esplicito il fatto che c'è una dimensione umana nel vescovo che richiede svago, amicizia, distrazioni, e riposo così come studio, preghiera e confronto. Inoltre, l'importanza della delega non può essere sopravvalutata. Molti vescovi sono stakanovisti e trovano difficile delegare qualcuno. Ciò può sfociare in una sorta di machismo spirituale, che significa che un vescovo non può prendersi un giorno di vacanza, che è sempre al lavoro, che deve sapere tutto e che ogni decisione spetta a lui.
Una grande mole di lavoro ha condotto alla preparazione del documento sinodale. Ma, dal mio punto di vista, sarebbe stato ben più efficace e in sintonia con il pensiero dei vescovi di tutto il mondo se l'Instrumentum laboris avesse compreso le sezioni 44 e 45 della Tertio millennio adveniente, nelle quali il papa chiede una rinnovata attenzione al ministero petrino e alla collegialità, alla riforma della Curia romana e all'importanza del fatto che i vescovi ascoltino la gente: in altre parole, all'importanza di un'opinione pubblica responsabile nella Chiesa. Questi temi stanno a cuore a molti vescovi. A giudicare dai recenti documenti papali come la Ut unum sint e la Novo millennio ineunte, questi temi stanno a cuore anche al papa. Non dovrebbero allora essere in primo piano in un sinodo sul ministero e la vita del vescovo nella Chiesa?


VESCOVI FUORI DAL MONDO E PIÙ ROMANI DI ROMA
 
di p. Francesco Pierli

Nessuno ne dubita! Chi ha un minimo di dimestichezza con la vita della Chiesa sa di cosa sto parlando. Tutti i ministeri, dal papa, ai vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, ministeri femminili o maschili che siano, si sono configurati nella forma attuale durante il secondo millennio, caratterizzato, almeno nella Chiesa latina, da un forte clericalismo.
Di conseguenza, il ministero ordinato ha fagocitato tutti gli altri, al punto che la parola "ministero" significava soltanto l'attività svolta dal sacerdote. L'altro personale ecclesiale, religiosi o laici che fossero, veniva considerato aiutante del prete per poter arrivare dove non poteva arrivare lui. Sempre esecutore, mai direttamente coinvolto nel processo decisionale. Con una figura simbolica espressiva, possiamo dire che i cristiani non preti erano i sacrestani, e perciò a loro era lasciato di pulire la chiesa, accendere le candele, suonare le campane, sempre eseguire, pronti al minimo cenno del parroco!
Uno dei grandi teologi del Vaticano II, Yves Congar, scrisse in un famoso libro sui laici che il loro compito era sintetizzato in 3 P: "pregare, piegare, pagare". Pregare, il senso è ovvio; piegare, le ginocchia in segno di sottomissione e obbedienza; pagare, e cioè provvedere il sostegno finanziario.
In una società sacrale e monarchica, per di più con un'altissima percentuale di analfabeti, questo stile poteva tenere. Ma oggi, nel terzo millennio della storia cristiana, con la modernità che tutto pervade, tale sistema è e diventerà sempre più anacronistico. Il 99% della Chiesa non può più riconoscersi nelle 3P di cui sopra. Eppure siamo ancora lì! Il sinodo dei vescovi dovrebbe offrire l'occasione per tirare le somme e ridefinire i ruoli e i ministeri di tutti i componenti del popolo di Dio all'interno di un'ecclesiologia di comunione, partecipazione e missione di tutti i ministeri e in linea con le aspirazioni legittime della modernità. Invece no.
Si tratterebbe, per così dire, di far entrare tutti i ministeri in rete, ripensandoli in relazione gli uni agli altri e alla missione globale del popolo di Dio nel mondo. Il Concilio Vaticano II e la riflessione teologica degli ultimi 40 anni, e tante esperienze locali di vescovi e diocesi, potrebbero offrire un materiale immenso.
Invece, gli estensori dell'Instrumentum laboris hanno scelto un altro metodo, quello pre-conciliare. Ogni ministero è chiuso in sé stesso, dipendente da una congregazione romana che controlla e dirige a modo suo. Se si comincia a collegare i vari ministeri, a sottolinearne le interdipendenze e la coralità, allora anche l'attuale struttura della curia manifesterebbe i suoi profondi limiti e inadeguatezze.
Ma una struttura non viene generalmente messa in discussione da coloro che la gestiscono! Forse ha proprio ragione il cardinal Martini quando asserisce che solo un Concilio potrebbe tirare certe somme, e ripensare tutta la struttura ministeriale della Chiesa, invece di cercare di congelarla, come gli attuali sinodi episcopali cercano di fare. Il prossimo non meno degli altri.

La cristianità è finita!

Mentre leggo l'Instrumentum laboris, scorrono nella mia mente nomi di vescovi come Ambrogio, Agostino, Martino di Tours, e di vescovi-papi come Leone Magno, Gregorio Magno. Chi erano? Persone di grande spessore umano, con grande esperienza del mondo di allora, nel cui tessuto avrebbero dovuto accompagnare le comunità cristiane per incarnarvi la fede. La loro elezione non fu un atto burocratico di una curia lontana mille miglia dalle condizioni e sensibilità del popolo. La comunità locale vi ebbe un ruolo di primo piano e li scelse non perché erano pii, o obbedienti a Roma, ma precisamente per il loro grande spessore umano e spirituale, integrità e coraggio, esperienza della vita civile, leadership, sintesi fra fede e vita... Così potevano guidare il popolo di Dio, popolo missionario, ad una presenza dinamica e trasformante nella società.
Oggi? Il popolo non ha voce vera nella scelta dei vescovi, che resta un fatto di vertice. L'Instrumentum laboris si guarda bene dall'accennare a un tale problema, nonostante la sua enorme valenza teologica, ecumenica e pastorale. Nessuno può negare che ci sono crescenti tensioni in tutti i continenti, causate dalla nomina di alcuni vescovi. L'Instrumentum laboris vuole solo perfezionare lo status quo, e quindi fa finta di non vedere. Ma così non aiuta la Chiesa a fare un passo in avanti rendendo le Chiese più locali anche nella procedura della scelta dei loro pastori.
Non pochi degli attuali vescovi hanno studiato a Roma, hanno una buona conoscenza del Codice di diritto canonico, ferrati nell'aspetto istituzionale della Chiesa, ex rettori di seminari, ex provinciali, ex superiori generali. Sono formati secondo lo stile del seminario del Concilio di Trento, la cui enfasi era sulla separazione dal mondo, esperti, magari, nella vita interna della Chiesa, ma persi quando si tratta del mandato missionario e di presenza al e nel mondo, e, non di rado, alieni alla cultura locale e mondiale. Non fa meraviglia se, come dice la Evangelii nuntiandi di Paolo VI, il più grande scandalo dell'epoca moderna è la frattura tra fede e cultura, fede e vita quotidiana.
Questa frattura è nella struttura umana di tanti vescovi perché sono stati preparati per il mondo della christianitas che ora è sicuramente tramontato. Un mondo dove la parola chiave era "conservazione e fedeltà statica" alla tradizione, mentre oggi è urgente "creatività e reinvenzione".
Per non pochi di loro è difficilissimo capitanare Chiese locali nel loro processo di localizzazione e inculturazione, perché sono più romani di Roma e alieni al dinamismo e alla metodologia del mondo moderno.

Né si deve dimenticare che moltissimi, soprattutto nelle giovani Chiese, sono vulnerabili finanziariamente, se dissentono da Roma. Essere in disaccordo con i confratelli vescovi della regione e della Conferenza episcopale non è un gran problema, purché si sia d'accordo con Roma. La fraternità episcopale orizzontale non ha molto peso, quella che conta è quella verticale.

Il terzo millennio, grande assente

Una delle affermazioni più rivoluzionarie del Vaticano II la troviamo nella Gaudium et spes al capitolo quarto. La Chiesa, vi si afferma, "dà e riceve dal mondo". Questa è una delle conseguenze più drammatiche dell'incarnazione di Dio. Il mondo non è mero oggetto dello zelo della Chiesa, ma è soggetto attivo per la venuta del Regno attraverso l'evoluzione, i valori umani, la scienza, il lavoro e l'organizzazione della comunità umana. Alcuni aspetti della storia umana sono così pregni di Regno di Dio da essere segni dei tempi, quindi veri comandamenti anche per la Chiesa. Se la Chiesa non li segue, e essa non si reinterpreta secondo di essi, si pone fuori della volontà di Dio. La grandezza rivoluzionaria del Vaticano II, più che in un punto o l'altro dei documenti, è stata nel recupero della storicità della Chiesa che, nel secondo millennio, aveva dato l'impressione di essersi messa fuori della storia e contro il mondo. Quasi entità metafisica immutabile più che popolo in cammino.
Eppure, nonostante le affermazioni di principio, nel secondo millennio il "mondo" ristrutturò moltissimo la Chiesa.
Un esempio: l'imperante struttura monarchica influenzò profondamente la Chiesa nella sua concezione e struttura e nella teologia e prassi dei ministeri. Il papa-re è stato molto più che uno slogan. La struttura monarchica assoluta si incarnò nella struttura piramidale della Chiesa, che ancora impera nonostante la caduta dei modelli socioculturali che la causarono. I cardinali erano principi della Chiesa, tanti vescovi erano conti, marchesi, ecc. Tanti simboli del potere, dalla mitra alle scarpe, guanti e anelli, sono tutti simboli mutuati dal mondo socioculturale di allora. Quello che ho detto della struttura piramidale del potere si può estendere anche al legame tra potere e maschilismo.
Perciò oggi un ripensamento sul ministero non può non tenere conto del sistema democratico sempre più universale e diffuso. Affermare che la Chiesa non è una democrazia, o che non usa il metodo parlamentare, non esime la Chiesa dal superare le interpretazioni dei ministeri legati al mondo monarchico e verticista. Questa è la legge della storia della salvezza che chiamiamo incarnazione e inculturazione.
Non si può assolutizzare l'interpretazione del ministero legato ad un'epoca storica e a modelli culturali ormai superati. L'Instrumentum laboris lo menziona nel primo capitolo, ma lo dimentica quando si passa alle parti più dottrinali e pastorali del testo. Oppure usa un tono omiletico ed esortativo, assolutamente inadeguato alla serietà della posta in gioco. Né i problemi vengono risolti infilando una citazione su un'altra di documenti di concilii, di papi o delle congregazioni romane.
I testi sono irrilevanti, perché è cambiato il contesto umano, la coscienza della gente e l'autocoscienza della Chiesa. Così che l'Instumentum laboris è un centone di citazioni più che un vero documento nuovo per aiutare il ministero ordinato ad entrare nel terzo millennio. Tutta la grande produzione storica, teologica spirituale e pastorale è ignorata. Come pure le esperienze delle altre Chiese ortodosse e protestanti. È frustrante e irritante veder accennati problemi nuovi e leggere poi risposte che non sono tali!
Non fa meraviglia la confessione del cardinale Schotte, segretario del sinodo, che le risposte ai Lineamenta sono state le meno numerose a memoria di sinodo? A che pro lavorare tanto, se la mira è fuori bersaglio?!

Vaticano II emarginato

Non pochi hanno l'impressione che sia in atto un tentativo conscio o inconscio di riscrivere il Vaticano II eliminando le intuizioni più originali. A me sembra che questa impressione sia ben fondata. L'Instrumentum laboris ne offre una testimonianza lampante. Una delle grandi novità del Vaticano II nella Lumen gentium era stata la riscoperta del concetto di "popolo di Dio" in pendant con quello di "Chiesa mistero". Popolo messianico, missionario e protagonista della storia.
Tutti i ministeri dovrebbero quindi essere reinterpretati all'interno della realtà e missione del popolo di Dio, come sua esplicitazione concreta. Perciò il numero 10 della Lumen gentium può affermare senza mezzi termini che il ministero ordinato è a servizio della missione del popolo di Dio.
Nell'ecclesiologia pre-vaticana si cominciava dal papa e si veniva giù al popolo come oggetto della sua attenzione e zelo. Non così nel Vaticano II. "Prima" il popolo di Dio, nel capitolo secondo della Lumen gentium, e "poi" la gerarchia, nel capitolo terzo. Sono un "prima" e un "poi" non solo cronologico ma ontologico. "Prima" il popolo di Dio messianico, apostolico, cattolico, uno, e, "poi" le varie componenti e ministeri, nella loro vita interna e relazione al mondo. I vari ministeri aiutano il popolo a vivere la sua identità e missione.
Non così nell'Instrumentum laboris. Il ministero ordinato ridiventa un assoluto senza punto di riferimento che non sia il Cristo. Che non sia una svista ma una strategia si può dedurre dal fatto che la stessa visione si trova nella Pastores dabo vobis e in Vita consecrata, i documenti dei due ultimi sinodi dei vescovi. In questo modo, l'Instrumentum laboris, invece di affondare una volta per sempre la gravissima piaga del clericalismo che aveva minato severamente la vita ecclesiale e la missione della Chiesa nel secondo millennio, la incancrenisce ancora di più.
L'altra grande esperienza conciliare era stata la sofferta ma importantissima esperienza del primato dei vescovi sulla curia romana. Tutti gli schemi preparati dalla curia per il Concilio, e la stessa visione del Concilio della curia vaticana furono rivoluzionati. Tanti teologi che la curia aveva emarginato, ed anche pubblicamente condannato, diventarono voci qualificate e ascoltate dai padri del Concilio. Veramente si ebbe l'impressione che il papa con tutti i vescovi, e tutti i vescovi con il papa, fossero al timone della Chiesa.
Ora la curia torna ad essere un assoluto sopra tutti i vescovi. Il documento mai cita conferenze episcopali, né direttamente né indirettamente, mentre cita tanti documenti di congregazioni romane. Neanche i sinodi continentali vengono mai citati.
È chiaro che il sinodo dei vescovi, nato nel Concilio e dal Concilio, come manifestazione della collegialità dell'episcopato, è solo un altro strumento della curia per "gestire" l'episcopato cattolico. Più una reliquia della centralità romana del II millennio che strumento nuovo del III millennio. Voglia il cielo che sia l'ultimo in questo stile e che si recuperi l'originalità e l'intenzionalità del Vaticano II.

Vescovo tra globalizzazione e localizzazione

In occasione del G8 di Genova è venuta a galla una grande rivolta contro gli effetti negativi della globalizzazione, e cioè dell'imperialismo di pochi sul resto del mondo, particolarmente sui poveri. Imperialismo finanziario, culturale e politico di un ristretto numero di persone, di un 1 miliardo su 6, ed anche se questi pochi si proclamano rappresentanti del mondo, sappiano che non è vero.
Noi missionari fummo tra i primi, alla fine degli anni '80, a reagire contro la globalizzazione finanziaria imposta da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale con i famigerati programmi di aggiustamento strutturale. Noi missionari, fondatori di Chiese locali, siamo oltremodo sensibili al problema della localizzazione e parliamo dell'inculturazione come di un aspetto fondamentale di localizzazione e, dunque, come di un potente correttivo della globalizzazione che vuole distruggere le diversità culturali. A questo riguardo, c'è da sperare che l'attuale, intensa riflessione sulla globalizzazione occasionata dal G8 abbia un'influenza sul sinodo e sul ministero episcopale, per fare emergere così la figura del vescovo come garante del locale, in comunione con tutti gli altri vescovi, primo fra tutti il vescovo di Roma.
La concezione teologica dell'episcopato come sacramento, definitivamente istituito dal Vaticano II nella Lumen gentium fu una grandissima affermazione del locale. Il vescovo, infatti, è mediazione della presenza di Cristo in un dato luogo e spazio. La comunione con la Chiesa locale di Roma non vuol dire dimenticare il locale romanizzandolo, come si è fatto nel secondo millennio. Comunione significa sinfonia, sinergia, e mai uniformità; non è l'ascolto di una sola voce proveniente da un unico strumento, ma una polifonia! È l'esperienza più vera della pentecoste perenne lungo il corso dei secoli.
C'è di fatto il pericolo, già sperimentato nel secondo millennio, di vedere il vescovo come un rappresentante del papa che impone sulla sua diocesi le caratteristiche della Chiesa di Roma. Questa, davvero, sarebbe più globalizzazione che non cattolicità, la quale rispetta il pluralismo della creazione e favorisce la crescita delle singole unicità. La globalizzazione, difatti, ha aspetti negativi anche nella Chiesa se non viene corretta dalla cattolicità, e i vescovi dovrebbero essere figure chiave a servizio della cattolicità quale espressione integrante nella vita delle varie Chiese locali. È un peccato che nell'Instrumentum laboris la cattolicità sia vista più in termini di globalizzazione che di pentecoste.
Il popolo di Seattle, per così dire, è vivo nella Chiesa e non potrà non fare attenzione ai risultati del sinodo perché riveleranno aspetti fondamentali della Chiesa, quali l'esercizio dell'autorità e il rapporto tra Chiesa universale e Chiesa locale. I risultati del sinodo diranno se le tante parole dette dal papa, da cardinali e da altri uomini di Chiesa contro gli aspetti nefasti della globalizzazione, toccheranno la vita interna della Chiesa, liberandola dagli effetti negativi della già presente globalizzazione.
Il sinodo dei vescovi è una grande occasione a servizio della ministerialità del Popolo di Dio. Se si dovesse perdere l'unicità di questo appuntamento ecclesiale, l'irrequietezza del popolo di Seattle dentro la Chiesa potrebbe aumentare a dismisura, fino al punto di sfuggire di mano.
Cosa che nessuno si augura.