PRIMATO PAPAL Y
COLEGIALIDAD DE LOS OBISPOS,
GRANDES AUSENTES AL PROXIMO SINODO
de mons. John Quinn
Obispo Emérito de San Francisco
L'Instrumentum
laboris per il prossimo sinodo internazionale dei vescovi è ora in
circolazione. Il testo, che si intitola "Il vescovo: servo del Vangelo di Gesù
Cristo per la speranza del mondo", è di 120 pagine e ha 229 note. È
significativo che la dirompente enciclica del papa sull'unità dei cristiani,
Ut unum sint (1995), vi sia citata solo una volta. La lettera papale che
apre le celebrazioni per il terzo millennio è citata una volta. La lettera che
chiude l'anno giubilare e apre il terzo millennio, Novo millennio ineunte,
non è mai citata. Ciò è degno di nota perché il recente concistoro dei cardinali
di tutto il mondo era centrato su questo ultimo documento, che al tempo stesso è
lungimirante e costituisce una sfida.
L'Instrumentum laboris non è un'agenda. Non stabilisce i parametri della
discussione sinodale. Il suo scopo è dare alcune indicazioni sui temi che i
vescovi di tutto il mondo vorrebbero vedere affrontati.
Nel 1974 sono stato inviato da papa Paolo VI al sinodo sull'evangelizzazione. La
nomina ufficiale arrivò solo a metà luglio, quando tutti gli incontri dei
rappresentanti degli Stati Uniti avevano già avuto luogo. Chiesi al cardinal
John Dearden che cosa io potessi preparare per il sinodo. Rispose che potevo
leggere alcuni articoli, ma che in realtà non c'era nulla da preparare, dal
momento che quando i vescovi di tutto il mondo si riuniscono a Roma entra in
gioco una nuova alchimia e la direzione delle cose potrebbe essere molto
diversa. In ogni caso, un instrumentum laboris non dovrebbe essere preso
come un segno certo della direzione che un sinodo è destinato a prendere.
Le mie osservazioni sul documento sono sia positive sia negative. Per quanto
riguarda quelle positive, il documento, dall'inizio alla fine, pone
enfaticamente l'accento sulla speranza. La speranza è menzionata 27 volte solo
nelle prime nove pagine. I documenti del Concilio Vaticano II sono citati nella
misura in cui affermano il principio capitale secondo il quale i vescovi "oltre
tutte le preoccupazioni e le difficoltà' devono avere speranza, prima di
qualsiasi altra cosa". Viene sottolineata la centralità della Bibbia per la vita
ecclesiale e per la crescita e la statura spirituale personale di un vescovo.
Questo insegnamento del Concilio deve essere continuamente e costantemente
sottolineato in tutta la Chiesa. C'è anche una chiamata all'apertura al mondo,
al coinvolgimento attivo nell'affrontare i suoi complessi problemi, e una
consapevolezza dell'emergere di problemi del tutto nuovi che sollecitano la
Chiesa ad una riflessione più profonda. Il documento ammette il diffuso
"silenzioso, facile abbandono dell'osservanza religiosa da parte di molte
persone", e il declino delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. In
questo articolo non posso citare tutti i fattori positivi e rassicuranti che il
documento contiene, ma questi possono servire per dimostrare che il documento
possiede anche elementi realistici e positivi.
Un tema di questo documento che potrebbe destare qualche sorpresa è il
provvedimento per cui i vescovi in pensione possono essere eletti ai sinodi.
Questo è sorprendente, perché quando la conferenza episcopale degli Stati Uniti
mi ha scelto alcuni anni fa per partecipare all'Assemblea speciale dei vescovi
per l'America, il giorno dopo è arrivato un fax da Roma che affermava che le
regole per il sinodo erano cambiate e che i vescovi in pensione non potevano
essere delegati. Allo stesso tempo, era noto che un vescovo di Panama in
pensione era stato ugualmente invitato al sinodo.
C'è una sorprendente omissione nella sezione del documento che tratta delle
Conferenze episcopali. In questa sezione, sono citati 11 documenti del papa o di
congregazioni romane. Ma non viene mai citata una parte importante della
Lumen gentium, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa del Concilio Vaticano
II (1964). In quel documento leggiamo (n. 23) che i patriarcati sono venuti in
essere per divina provvidenza e che questa varietà dimostra con grande chiarezza
la cattolicità della Chiesa indivisa. Poi dice che "in modo simile le Conferenze
episcopali possono oggi dare un variegato e fecondo contributo alla concreta
applicazione dello spirito di collegialità". Gli esperti osservano che il
Concilio utilizza qui un'analogia di proporzionalità tra Conferenze e
patriarcati. Le Conferenze non si identificano in ogni aspetto con i
patriarcati, ma hanno alcuni elementi di collegialità in comune. Questa è
un'affermazione importante in un Concilio generale della Chiesa, e la sua
omissione nell'Instrumentum laboris sembrerebbe deliberata.
I vescovi di tutto il mondo sono scontenti del modo in cui le congregazioni
romane trattano le Conferenze episcopali. Quest'affermazione non si basa solo
sul sentito dire. I vescovi stessi nei sinodi continentali (per l'Africa, l'Asia
e altri) hanno esplicitamente sollevato la questione. Più recentemente, al
concistoro dei cardinali di maggio, il cardinal Aloisio Lorscheider del Brasile
ha detto, secondo quanto ha riportato il "New 'ork Times": "Le decisioni del
Concilio Vaticano II non vengono applicate, e tutti noi soffriamo' per una
burocrazia distante che è sempre più sorda". E il cardinal Walter Kasper, grande
teologo e ora membro della Curia romana (presidente del Pontificio Consiglio per
l'unità dei cristiani, ndr), ha detto, quando ancora era vescovo diocesano, che
il giusto equilibrio tra la Curia e le Chiese locali "è stato distrutto". E, ha
aggiunto, "questa non è solo una mia percezione: è l'esperienza e la lamentela
di molti vescovi di tutto il mondo".
Come l'aver omesso la parte della Lumen gentium relativa alle Conferenze,
anche il fatto che Ut unum sint sia citata solo una volta a proposito
dell'ecumenismo è una omissione degna di nota. Non c'è nulla che riguardi più
direttamente il progresso ecumenico e il ministero dei vescovi, che è il modo in
cui il primato papale viene esercitato. Il papa stesso in quell'enciclica
invitava i vescovi di tutto il mondo a dialogare con lui sull'esercizio del
primato. Ma non c'è una parola di tutto ciò nell'Instrumentum laboris.
L'enciclica afferma che "è assolutamente chiaro che l'ecumenismo' non è solo una
sorta di 'appendic' che viene aggiunta all'attività tradizionale della Chiesa.
L'ecumenismo è piuttosto una parte organica della vita della Chiesa e di
conseguenza deve diffondersi in tutto ciò che essa è e compie". Questo significa
che, tra tante altre cose che devono essere considerate, certamente il contesto
più ampio del ministero episcopale nel suo rapporto col papa e con la curia
romana è un tema quanto mai rilevante per l'ecumenismo. È risultato più volte
evidente in modo chiaro che si tratta di un punto nevralgico per gli ortodossi.
È possibile immaginare un sinodo sul ministero dei vescovi che ometta questi
temi?
Dall'inizio alla fine, il documento indica i molteplici doveri e responsabilità
del vescovo. Ma non sottolinea a sufficienza il fatto che nessun singolo essere
umano potrebbe affrontare da solo tutte queste cose. Parla dell'esigenza di
comunione con i preti, i religiosi e i laici e di strutture come consigli
pastorali e consigli presbiterali. Ma sarebbe importante rendere più esplicito
il fatto che c'è una dimensione umana nel vescovo che richiede svago, amicizia,
distrazioni, e riposo così come studio, preghiera e confronto. Inoltre,
l'importanza della delega non può essere sopravvalutata. Molti vescovi sono
stakanovisti e trovano difficile delegare qualcuno. Ciò può sfociare in una
sorta di machismo spirituale, che significa che un vescovo non può prendersi un
giorno di vacanza, che è sempre al lavoro, che deve sapere tutto e che ogni
decisione spetta a lui.
Una grande mole di lavoro ha condotto alla preparazione del documento sinodale.
Ma, dal mio punto di vista, sarebbe stato ben più efficace e in sintonia con il
pensiero dei vescovi di tutto il mondo se l'Instrumentum laboris avesse
compreso le sezioni 44 e 45 della Tertio millennio adveniente, nelle
quali il papa chiede una rinnovata attenzione al ministero petrino e alla
collegialità, alla riforma della Curia romana e all'importanza del fatto che i
vescovi ascoltino la gente: in altre parole, all'importanza di un'opinione
pubblica responsabile nella Chiesa. Questi temi stanno a cuore a molti vescovi.
A giudicare dai recenti documenti papali come la Ut unum sint e la
Novo millennio ineunte, questi temi stanno a cuore anche al papa. Non
dovrebbero allora essere in primo piano in un sinodo sul ministero e la vita del
vescovo nella Chiesa?
VESCOVI FUORI DAL MONDO E PIÙ ROMANI DI ROMA
di p. Francesco Pierli
Nessuno ne dubita!
Chi ha un minimo di dimestichezza con la vita della Chiesa sa di cosa sto
parlando. Tutti i ministeri, dal papa, ai vescovi, sacerdoti, religiosi e laici,
ministeri femminili o maschili che siano, si sono configurati nella forma
attuale durante il secondo millennio, caratterizzato, almeno nella Chiesa
latina, da un forte clericalismo.
Di conseguenza, il ministero ordinato ha fagocitato tutti gli altri, al punto
che la parola "ministero" significava soltanto l'attività svolta dal sacerdote.
L'altro personale ecclesiale, religiosi o laici che fossero, veniva considerato
aiutante del prete per poter arrivare dove non poteva arrivare lui. Sempre
esecutore, mai direttamente coinvolto nel processo decisionale. Con una figura
simbolica espressiva, possiamo dire che i cristiani non preti erano i
sacrestani, e perciò a loro era lasciato di pulire la chiesa, accendere le
candele, suonare le campane, sempre eseguire, pronti al minimo cenno del
parroco!
Uno dei grandi teologi del Vaticano II, Yves Congar, scrisse in un famoso libro
sui laici che il loro compito era sintetizzato in 3 P: "pregare, piegare,
pagare". Pregare, il senso è ovvio; piegare, le ginocchia in segno di
sottomissione e obbedienza; pagare, e cioè provvedere il sostegno finanziario.
In una società sacrale e monarchica, per di più con un'altissima percentuale di
analfabeti, questo stile poteva tenere. Ma oggi, nel terzo millennio della
storia cristiana, con la modernità che tutto pervade, tale sistema è e diventerà
sempre più anacronistico. Il 99% della Chiesa non può più riconoscersi nelle 3P
di cui sopra. Eppure siamo ancora lì! Il sinodo dei vescovi dovrebbe offrire
l'occasione per tirare le somme e ridefinire i ruoli e i ministeri di tutti i
componenti del popolo di Dio all'interno di un'ecclesiologia di comunione,
partecipazione e missione di tutti i ministeri e in linea con le aspirazioni
legittime della modernità. Invece no.
Si tratterebbe, per così dire, di far entrare tutti i ministeri in rete,
ripensandoli in relazione gli uni agli altri e alla missione globale del popolo
di Dio nel mondo. Il Concilio Vaticano II e la riflessione teologica degli
ultimi 40 anni, e tante esperienze locali di vescovi e diocesi, potrebbero
offrire un materiale immenso.
Invece, gli estensori dell'Instrumentum laboris hanno scelto un altro
metodo, quello pre-conciliare. Ogni ministero è chiuso in sé stesso, dipendente
da una congregazione romana che controlla e dirige a modo suo. Se si comincia a
collegare i vari ministeri, a sottolinearne le interdipendenze e la coralità,
allora anche l'attuale struttura della curia manifesterebbe i suoi profondi
limiti e inadeguatezze.
Ma una struttura non viene generalmente messa in discussione da coloro che la
gestiscono! Forse ha proprio ragione il cardinal Martini quando asserisce che
solo un Concilio potrebbe tirare certe somme, e ripensare tutta la struttura
ministeriale della Chiesa, invece di cercare di congelarla, come gli attuali
sinodi episcopali cercano di fare. Il prossimo non meno degli altri.
La cristianità è finita!
Mentre leggo l'Instrumentum laboris, scorrono nella mia mente nomi di
vescovi come Ambrogio, Agostino, Martino di Tours, e di vescovi-papi come Leone
Magno, Gregorio Magno. Chi erano? Persone di grande spessore umano, con grande
esperienza del mondo di allora, nel cui tessuto avrebbero dovuto accompagnare le
comunità cristiane per incarnarvi la fede. La loro elezione non fu un atto
burocratico di una curia lontana mille miglia dalle condizioni e sensibilità del
popolo. La comunità locale vi ebbe un ruolo di primo piano e li scelse non
perché erano pii, o obbedienti a Roma, ma precisamente per il loro grande
spessore umano e spirituale, integrità e coraggio, esperienza della vita civile,
leadership, sintesi fra fede e vita... Così potevano guidare il popolo di Dio,
popolo missionario, ad una presenza dinamica e trasformante nella società.
Oggi? Il popolo non ha voce vera nella scelta dei vescovi, che resta un fatto di
vertice. L'Instrumentum laboris si guarda bene dall'accennare a un tale
problema, nonostante la sua enorme valenza teologica, ecumenica e pastorale.
Nessuno può negare che ci sono crescenti tensioni in tutti i continenti, causate
dalla nomina di alcuni vescovi. L'Instrumentum laboris vuole solo
perfezionare lo status quo, e quindi fa finta di non vedere. Ma così non aiuta
la Chiesa a fare un passo in avanti rendendo le Chiese più locali anche nella
procedura della scelta dei loro pastori.
Non pochi degli attuali vescovi hanno studiato a Roma, hanno una buona
conoscenza del Codice di diritto canonico, ferrati nell'aspetto
istituzionale della Chiesa, ex rettori di seminari, ex provinciali, ex superiori
generali. Sono formati secondo lo stile del seminario del Concilio di Trento, la
cui enfasi era sulla separazione dal mondo, esperti, magari, nella vita interna
della Chiesa, ma persi quando si tratta del mandato missionario e di presenza al
e nel mondo, e, non di rado, alieni alla cultura locale e mondiale. Non fa
meraviglia se, come dice la Evangelii nuntiandi di Paolo VI, il
più grande scandalo dell'epoca moderna è la frattura tra fede e cultura, fede e
vita quotidiana.
Questa frattura è nella struttura umana di tanti vescovi perché sono stati
preparati per il mondo della christianitas che ora è sicuramente
tramontato. Un mondo dove la parola chiave era "conservazione e fedeltà statica"
alla tradizione, mentre oggi è urgente "creatività e reinvenzione".
Per non pochi di loro è difficilissimo capitanare Chiese locali nel loro
processo di localizzazione e inculturazione, perché sono più romani di Roma e
alieni al dinamismo e alla metodologia del mondo moderno.
Né si deve
dimenticare che moltissimi, soprattutto nelle giovani Chiese, sono vulnerabili
finanziariamente, se dissentono da Roma. Essere in disaccordo con i confratelli
vescovi della regione e della Conferenza episcopale non è un gran problema,
purché si sia d'accordo con Roma. La fraternità episcopale orizzontale non ha
molto peso, quella che conta è quella verticale.
Il terzo millennio, grande assente
Una delle affermazioni più rivoluzionarie del Vaticano II la troviamo nella
Gaudium et spes al capitolo quarto. La Chiesa, vi si afferma, "dà e
riceve dal mondo". Questa è una delle conseguenze più drammatiche
dell'incarnazione di Dio. Il mondo non è mero oggetto dello zelo della Chiesa,
ma è soggetto attivo per la venuta del Regno attraverso l'evoluzione, i valori
umani, la scienza, il lavoro e l'organizzazione della comunità umana. Alcuni
aspetti della storia umana sono così pregni di Regno di Dio da essere segni dei
tempi, quindi veri comandamenti anche per la Chiesa. Se la Chiesa non li segue,
e essa non si reinterpreta secondo di essi, si pone fuori della volontà di Dio.
La grandezza rivoluzionaria del Vaticano II, più che in un punto o l'altro dei
documenti, è stata nel recupero della storicità della Chiesa che, nel secondo
millennio, aveva dato l'impressione di essersi messa fuori della storia e contro
il mondo. Quasi entità metafisica immutabile più che popolo in cammino.
Eppure, nonostante le affermazioni di principio, nel secondo millennio il
"mondo" ristrutturò moltissimo la Chiesa.
Un esempio: l'imperante struttura monarchica influenzò profondamente la Chiesa
nella sua concezione e struttura e nella teologia e prassi dei ministeri. Il
papa-re è stato molto più che uno slogan. La struttura monarchica assoluta si
incarnò nella struttura piramidale della Chiesa, che ancora impera nonostante la
caduta dei modelli socioculturali che la causarono. I cardinali erano principi
della Chiesa, tanti vescovi erano conti, marchesi, ecc. Tanti simboli del
potere, dalla mitra alle scarpe, guanti e anelli, sono tutti simboli mutuati dal
mondo socioculturale di allora. Quello che ho detto della struttura piramidale
del potere si può estendere anche al legame tra potere e maschilismo.
Perciò oggi un ripensamento sul ministero non può non tenere conto del sistema
democratico sempre più universale e diffuso. Affermare che la Chiesa non è una
democrazia, o che non usa il metodo parlamentare, non esime la Chiesa dal
superare le interpretazioni dei ministeri legati al mondo monarchico e
verticista. Questa è la legge della storia della salvezza che chiamiamo
incarnazione e inculturazione.
Non si può assolutizzare l'interpretazione del ministero legato ad un'epoca
storica e a modelli culturali ormai superati. L'Instrumentum laboris lo
menziona nel primo capitolo, ma lo dimentica quando si passa alle parti più
dottrinali e pastorali del testo. Oppure usa un tono omiletico ed esortativo,
assolutamente inadeguato alla serietà della posta in gioco. Né i problemi
vengono risolti infilando una citazione su un'altra di documenti di concilii, di
papi o delle congregazioni romane.
I testi sono irrilevanti, perché è cambiato il contesto umano, la coscienza
della gente e l'autocoscienza della Chiesa. Così che l'Instumentum laboris
è un centone di citazioni più che un vero documento nuovo per aiutare il
ministero ordinato ad entrare nel terzo millennio. Tutta la grande produzione
storica, teologica spirituale e pastorale è ignorata. Come pure le esperienze
delle altre Chiese ortodosse e protestanti. È frustrante e irritante veder
accennati problemi nuovi e leggere poi risposte che non sono tali!
Non fa meraviglia la confessione del cardinale Schotte, segretario del sinodo,
che le risposte ai Lineamenta sono state le meno numerose a memoria di
sinodo? A che pro lavorare tanto, se la mira è fuori bersaglio?!
Vaticano II emarginato
Non pochi hanno l'impressione che sia in atto un tentativo conscio o inconscio
di riscrivere il Vaticano II eliminando le intuizioni più originali. A me sembra
che questa impressione sia ben fondata. L'Instrumentum laboris ne offre
una testimonianza lampante. Una delle grandi novità del Vaticano II nella
Lumen gentium era stata la riscoperta del concetto di "popolo di Dio" in
pendant con quello di "Chiesa mistero". Popolo messianico, missionario e
protagonista della storia.
Tutti i ministeri dovrebbero quindi essere reinterpretati all'interno della
realtà e missione del popolo di Dio, come sua esplicitazione concreta. Perciò il
numero 10 della Lumen gentium può affermare senza mezzi termini che il
ministero ordinato è a servizio della missione del popolo di Dio.
Nell'ecclesiologia pre-vaticana si cominciava dal papa e si veniva giù al popolo
come oggetto della sua attenzione e zelo. Non così nel Vaticano II. "Prima" il
popolo di Dio, nel capitolo secondo della Lumen gentium, e "poi" la
gerarchia, nel capitolo terzo. Sono un "prima" e un "poi" non solo cronologico
ma ontologico. "Prima" il popolo di Dio messianico, apostolico, cattolico, uno,
e, "poi" le varie componenti e ministeri, nella loro vita interna e relazione al
mondo. I vari ministeri aiutano il popolo a vivere la sua identità e missione.
Non così nell'Instrumentum laboris. Il ministero ordinato ridiventa un
assoluto senza punto di riferimento che non sia il Cristo. Che non sia una
svista ma una strategia si può dedurre dal fatto che la stessa visione si trova
nella Pastores dabo vobis e in Vita consecrata, i documenti dei
due ultimi sinodi dei vescovi. In questo modo, l'Instrumentum laboris,
invece di affondare una volta per sempre la gravissima piaga del clericalismo
che aveva minato severamente la vita ecclesiale e la missione della Chiesa nel
secondo millennio, la incancrenisce ancora di più.
L'altra grande esperienza conciliare era stata la sofferta ma importantissima
esperienza del primato dei vescovi sulla curia romana. Tutti gli schemi
preparati dalla curia per il Concilio, e la stessa visione del Concilio della
curia vaticana furono rivoluzionati. Tanti teologi che la curia aveva
emarginato, ed anche pubblicamente condannato, diventarono voci qualificate e
ascoltate dai padri del Concilio. Veramente si ebbe l'impressione che il papa
con tutti i vescovi, e tutti i vescovi con il papa, fossero al timone della
Chiesa.
Ora la curia torna ad essere un assoluto sopra tutti i vescovi. Il documento mai
cita conferenze episcopali, né direttamente né indirettamente, mentre cita tanti
documenti di congregazioni romane. Neanche i sinodi continentali vengono mai
citati.
È chiaro che il sinodo dei vescovi, nato nel Concilio e dal Concilio, come
manifestazione della collegialità dell'episcopato, è solo un altro strumento
della curia per "gestire" l'episcopato cattolico. Più una reliquia della
centralità romana del II millennio che strumento nuovo del III millennio. Voglia
il cielo che sia l'ultimo in questo stile e che si recuperi l'originalità e
l'intenzionalità del Vaticano II.
Vescovo tra globalizzazione e localizzazione
In occasione del G8 di Genova è venuta a galla una grande rivolta contro gli
effetti negativi della globalizzazione, e cioè dell'imperialismo di pochi sul
resto del mondo, particolarmente sui poveri. Imperialismo finanziario, culturale
e politico di un ristretto numero di persone, di un 1 miliardo su 6, ed anche se
questi pochi si proclamano rappresentanti del mondo, sappiano che non è vero.
Noi missionari fummo tra i primi, alla fine degli anni '80, a reagire contro la
globalizzazione finanziaria imposta da Fondo Monetario Internazionale e Banca
Mondiale con i famigerati programmi di aggiustamento strutturale. Noi
missionari, fondatori di Chiese locali, siamo oltremodo sensibili al problema
della localizzazione e parliamo dell'inculturazione come di un aspetto
fondamentale di localizzazione e, dunque, come di un potente correttivo della
globalizzazione che vuole distruggere le diversità culturali. A questo riguardo,
c'è da sperare che l'attuale, intensa riflessione sulla globalizzazione
occasionata dal G8 abbia un'influenza sul sinodo e sul ministero episcopale, per
fare emergere così la figura del vescovo come garante del locale, in comunione
con tutti gli altri vescovi, primo fra tutti il vescovo di Roma.
La concezione teologica dell'episcopato come sacramento, definitivamente
istituito dal Vaticano II nella Lumen gentium fu una grandissima
affermazione del locale. Il vescovo, infatti, è mediazione della presenza di
Cristo in un dato luogo e spazio. La comunione con la Chiesa locale di Roma non
vuol dire dimenticare il locale romanizzandolo, come si è fatto nel secondo
millennio. Comunione significa sinfonia, sinergia, e mai uniformità; non è
l'ascolto di una sola voce proveniente da un unico strumento, ma una polifonia!
È l'esperienza più vera della pentecoste perenne lungo il corso dei secoli.
C'è di fatto il pericolo, già sperimentato nel secondo millennio, di vedere il
vescovo come un rappresentante del papa che impone sulla sua diocesi le
caratteristiche della Chiesa di Roma. Questa, davvero, sarebbe più
globalizzazione che non cattolicità, la quale rispetta il pluralismo della
creazione e favorisce la crescita delle singole unicità. La globalizzazione,
difatti, ha aspetti negativi anche nella Chiesa se non viene corretta dalla
cattolicità, e i vescovi dovrebbero essere figure chiave a servizio della
cattolicità quale espressione integrante nella vita delle varie Chiese locali. È
un peccato che nell'Instrumentum laboris la cattolicità sia vista più in
termini di globalizzazione che di pentecoste.
Il popolo di Seattle, per così dire, è vivo nella Chiesa e non potrà non fare
attenzione ai risultati del sinodo perché riveleranno aspetti fondamentali della
Chiesa, quali l'esercizio dell'autorità e il rapporto tra Chiesa universale e
Chiesa locale. I risultati del sinodo diranno se le tante parole dette dal papa,
da cardinali e da altri uomini di Chiesa contro gli aspetti nefasti della
globalizzazione, toccheranno la vita interna della Chiesa, liberandola dagli
effetti negativi della già presente globalizzazione.
Il sinodo dei vescovi è una grande occasione a servizio della ministerialità del
Popolo di Dio. Se si dovesse perdere l'unicità di questo appuntamento
ecclesiale, l'irrequietezza del popolo di Seattle dentro la Chiesa potrebbe
aumentare a dismisura, fino al punto di sfuggire di mano.
Cosa che nessuno si augura.